Articoli

Il potere del linguaggio simbolico con i bambini

Ho conosciuto Raoul in occasione di un progetto denominato “Emozioni in Fiaba”. Il progetto si svolgeva in una comunità di primo intervento per madri e bambini e consisteva nell’utilizzare fiabe, disegni, drammatizzazioni e giochi per aiutare lo sviluppo dell’acquisizione della competenza emotiva nei bambini.Nello specifico, Raoul era un bambino di 5 anni, in comunità insieme alla mamma e al fratello maggiore di 6 anni.
Raoul dimostrava meno della sua età anagrafica sia fisicamente che psichicamente: era piccolo e magrolino. Faticava molto a staccarsi dalla propria mamma per partecipare al progetto, portava sempre con sé un gioco che gli apparteneva e fungeva da oggetto transizionale (un po’ come la coperta di Linus…un oggetto che serviva a conferirgli sicurezza nel momento della separazione).Dall’osservazione dei momenti di distacco e ricongiungimento con la figura materna si può ipotizzare che vi fosse una notevole ansia di separazione collegabile ad un attaccamento con la figura di riferimento di tipo insicuro ambivalente. Tali riscontri sembravano essere aggravati dalla situazione peculiare del bambino.
La peculiarità di Raoul, infatti, era che non era in grado di parlare, o meglio, di comunicare con persone che non fossero la mamma e il fratello, che erano capaci di comprendere il suo eloquio molto singolare e per nulla comprensibile a persone che non lo conoscessero molto bene. Anche per questa ragione non si staccava mai dal fratello che gli permetteva di mettersi in comunicazione con il resto del mondo e di farsi capire.

 

Spesso e volentieri era il fratello a tradurre la comunicazione di Raoul e a renderla comprensibile, pertanto il piccolo non poteva mai rimanere senza la madre o il fratello maggiore, se no si ritirava nel suo mondo privato fatto di silenzio o vocalizzi incomprensibili che lo portavano all’isolamento.
Sembrava che il mondo circostante lo spaventasse a tal punto da non desiderare di prendervi parte attivamente, nel mondo interno di quel bambino si poteva intravedere un’immagine di spaventante e terrorizzante di un mondo esterno pericoloso, troppo pericoloso da poter essere affrontato da solo.
Raoul sembrava capire le attività che noi svolgevamo, sembrava comprendere le fiabe che raccontavamo e partecipava anche alle drammatizzazioni relative ai personaggi che nella fiaba avevano svolto il ruolo di protagonisti, ma non era capace di comunicare agli altri quello che lui provava o pensava…non interessato ad interagire con un mondo che non sembrava disposto e capace di accoglierlo e comprenderlo.

Dopo una prima fase di conoscenza e valutazione delle competenze emotive dei bambini, seguiva una seconda fase in cui si lavorava in piccoli gruppettini per poter intervenire con modalità più mirate sulle specifiche difficoltà dei bambini.

È stata proprio in questa fase che mi sono trovata a lavorare a stretto contatto con Raoul e, proprio per le sue enormi difficoltà, mi dedicavo molto a lui, svolgendo un’attività individuale per riuscire ad entrare in contatto con il suo mondo. Spesso e volentieri dovevo ricorrere all’aiuto del fratello per riuscire a comprenderlo e mi rendevo sempre più conto che questo non era un bene per il piccolo. Aveva bisogno di sperimentarsi, di capire che ce la poteva fare anche da solo, senza l’ausilio continuo di mamma e fratello. Di “toccare con mano” che quel mondo da cui lui aveva deciso di isolarsi non era così terrificante e pericoloso come nel suo immaginario si prefigurava. In tal senso pare anche importante sottolineare che tendenzialmente i minori inseriti in una comunità di primo intervento hanno spesso subito maltrattamenti e/o abusi dal padre o da familiari, tanto da essere stati allontanati con la madre dal nucleo familiare. L’essere vissuto in una ambiente abusante e maltrattante durante i primi anni della sua vita certamente aveva contribuito a far sì che il piccolo avesse sperimentato realmente una realtà pericolosa e che i suoi modelli interni fossero costruiti e costituiti confrontandosi con una realtà violenta e non protettiva.

Così ho passato più di un mese a cercare di entrare in contatto con lui, di accoglierlo, cercando di comprenderlo non usando il linguaggio verbale. Abbiamo imparato a comunicare con i colori: il rosso era la rabbia, il nero la tristezza, il giallo la gioia e così a poco a poco anche Raoul acquistava fiducia sapendo che, anche senza il supporto continuo di mamma e fratello c’era qualcuno che lo capiva. Raoul ha finalmente potuto così sperimentare una realtà diversa da quella vissuta fino a quel momento: una persona capace di rispettarlo, di ascoltare i suoi bisogni e di soddisfarli adeguandosi a lui e alla sue richieste.
Stavamo ore a disegnare e ad usare i colori, le forme, i disegni per permettere al suo mondo interiore di emergere e di essere accolto e contenuto. A poco a poco le sue emozioni hanno cominciato ad emergere con maggior chiarezza e fluidità. Raoul ha smesso di farsi prendere dall’ansia quando si doveva separare dalla mamma, a non portare più con sé un gioco datogli dalla madre, a credere più in se stesso.

La grande svolta è avvenuta quando, per la prima volta, il fratello non ha potuto partecipare all’incontro perché malato: finalmente Raoul è riuscito a provare a se stesso di essere autonomo, capace di comunicare con me e di farsi capire da solo, senza bisogno di un supporto. Finalmente si è sentito abbastanza “protetto” e non più in “pericolo” anche senza le figure di riferimento, ed ha potuto fidarsi ed affidarsi ad una relazione, altra rispetto a quella della madre e del fratello, ma comunque in grado di accoglierlo e capirlo.

I colori e i disegni erano diventati il suo mezzo di comunicazione con il mondo, sentiva di essere capito, compreso ed accolto. Finalmente Raoul si è sentito un bambino capace, ha potuto credere in se stesso e nelle sue capacità.
Ha trovato qualcuno pronto ad ascoltarlo e felice di poterlo accogliere con le sue potenzialità e si è sentito pronto ad abbandonare il proprio mondo isolato e silenzioso, contento di aver conquistato un mondo pieno di colori e di sfumature. I colori e le sfumature delle emozioni. Si è potuto permettere di abbassare le profonde difese che la realtà pericolosa e ostile della prima infanzia gli avevano fatto ergere per sopravvivere in situazioni traumatiche e ha potuto sperimentare in toto una realtà completamente diversa e pronta ad ascoltarlo e ad aiutarlo nel trovare la propria modalità espressiva e comunicativa.

Partecipare al suo cambiamento e ai suoi progressi, prendere parte con lui al suo disvelamento è stata un’emozione incredibile. Leggere nel suo sguardo la gioia e non più solo la sofferenza di un bambino immerso nel proprio mondo lontano ed isolato, timoroso di tutto e di tutti, è stato il più bel regalo che Raoul mi potesse fare…ma soprattutto che potesse fare a se stesso.
Talvolta è solo grazie all’utilizzo di un linguaggio semplice come quello simbolico dei disegni e dei colori che si può riuscire ad entrare in contatto con i bambini, bisogna riuscire noi a “parlare la loro lingua“, qualunque essa sia, perché solo così gli si permette di esprimere ciò che ancora attraverso il linguaggio verbale non sono in grado di comunicare. Il gioco, il disegno, i colori, le fiabe diventano via regia per il mondo interno di questi piccoli bimbi che aspettano solo di essere capiti e accolti per poter capire e accogliere se stessi, per potersi individuare e crescere.